L’evoluzione della fotografia spaziale

levoluzione della fotografia

Fin dai tempi più antichi l’umanità ha nutrito una costante curiosità verso il cosmo, spesso derivata dalla semplice alzata di occhi al cielo. Là sopra splendevano le stelle e non solo. Lo spazio ha sempre esercitato, infatti, un enorme fascino sull’essere umano che ne ha sempre voluto scoprire i misteri e i segreti. Solo recentemente, però, questo è stato almeno parzialmente possibile; la fotografia astronomica ha compiuto una fantastica evoluzione nel corso degli anni. Prima di riuscire ad immortalare il cosmo, però, le persone hanno dovuto sfidare il cielo e cimentarsi in svariate imprese.

Uno scatto dall’alto

Una delle prime imprese di fotografia aerea fu il primo scatto fotografico in volo, eseguito dal francese e mongolfierista Gaspar Felix Tournachon (noto come “Nadar”) nel 1855, che grazie voleva utilizzare delle fotografie aeree nella cartografia. Usando un pallone aerostatico, egli riuscì ad alzarsi fino a 80 metri da terra da cui immortalò il piccolo paese chiamato Petit-Bicetre. Il processo per eseguire tale impresa non fu semplice, visto e considerato che, al tempo, Tournachon dovette trasportare nel cesto della mongolfiera una camera oscura e tutto l’equipaggiamento necessario per la riuscita di un buono scatto. Seppur le foto di Nadar non si siano conservate durante gli anni, questa impresa ispirò successivamente James Wallace Black a fotografare, a bordo di un pallone aerostatico, la città di Boston nel 1860.

Anche la NASA vuole la sua parte

Era, invece, il dicembre del 1962 quando il capitano dell’Aeronautica Joseph Kittinger e l’astronomo William White della Marina presero parte ad un progetto, meglio conosciuto come “Progetto Stargazer”. I due, in Messico sarebbero dovuti elevarsi a bordo di una capsula d’acciaio collegata ad un enorme pallone di mylar con all’interno un modesto telescopio, e avrebbero dovuto confermare che che il cosmo poteva essere osservato ad alta quota grazie ai palloni. Lontano da pericolose ripercussioni climatiche, il pallone si alzò sopra ad un deserto, raggiungendo i 25 chilometri di altitudine, aggiudicandosi così il primato per la più alta quota mai raggiunta per un volo di questo genere. Purtroppo, seppur vi fossero tutte le premesse per un enorme successo, il progetto perse fondi a causa del programma “Mercury Seven” lanciato dalla NASA, che mandò nello spazio solamente sei mesi prima dello Stargazer, l’astronauta John Glenn.

Il progetto “Mercury Seven” fu un grande successo, infatti, il 20 febbrario del 1962, John Glenn orbitò assieme al gruppo della “Friendship 7” (nome scelto da Glenn stesso in onore dei sette astronauti a bordo) per la prima volta attorno alla Terra, divenendo così la terza persona al mondo (e quinta nella storia) ad essere stato nello spazio. John Glenn fu un astronauta, pilota e senatore statunitense nato nel 1921 e divenne anche l’astronauta più anziano ad aver partecipato nuovamente ad un viaggio spaziale a bordo dello Space Shuttle nel 1998.

Un rinovato interesse

Nonostante il metodo di approccio alla fotografia astronomica abbia subito dei mutamenti nel corso degli anni, nell’ultima decade si è osservato un interesse verso i palloni ad alta quota, quasi conferendogli una nuova vita, grazie all’idea di posizionare al loro interno dei robot. Tale processo ha portato a risultati significativi che, prima, erano attuabili unicamente grazie all’osservazione in orbita tramite la presenza umana.

I robot, grazie al loro grande aiuto, sono diventati anche i protagonisti indiscussi dell’esplorazione su Marte grazie ai Mars Rover. “Curiosity” fu il più grande rover mai spedito sul pianeta: venne lanciato il 26 novembre 2011 e giunse sul pianeta rosso il 5 agosto 2012. Questo eccezionale rover è ancora attivo nel 2024 (contando un totale di 4210 giorni), e tutt’oggi contribuisce esponenzialmente allo studio di Marte attraverso i dati da esso raccolti e inviati sulla terra. E quale migliore esempio di fotografia spaziale di una foto fatta nello spazio? Curiosity è stato anche in grando di inviare alla NASA un selfie raffigurante sé stesso su Marte, in posa su Aeolis Mons (la più alta montagna del corpo celeste) nel 2015.

I viaggi di questo incredibile rover lo hanno portato nel 2023 a regalarci delle foto panoramiche nelle quali si osserva zona di Marte chiamata Marker Band Valley. E’ stato grazie a queste immagini in bianco e nero che gli studiosi sono riusciti a dar loro una valida interpretazione a vari elementi caratteristici di Marte. Come? Grazie alla palette di colori delle foto. Queste scattate in diversi momenti della giornata, hanno permesso di capire non solo se si trattasse di mattina o sera, ma anche che Curiosity, in quel momento, stava sperimentando l’inverno del suolo marziano.

La NASA, nel corso degli anni, ha provato 21 volte a far compiere ai propri rover delle spedizioni di successo, ma solamente 8 di questi, assieme a Curiosity, sono riusciti nell’impresa. Il “Perseverance” ed il “Tianwen-1 stanno ancora perlustrando il pianeta con successo.

L’avanzamento della tecnologia fotografica non è solo un arricchimento culturale, ma permette anche di sognare il giorno in cui, forse, anche gli esseri umani saranno in grado di atterrare su Marte compiendo così loro stessi il primo scatto fotografico sul pianeta rosso.